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ROBAFACC

rubafacce

 

 

In Brianza, una volta, il fotografo era chiamato “Robafacc”. E’ uno dei vari termini dialettali che riguardano la fotografia: in Liguria ritrarre una persona era fare una “Somiglianza”, in centro Italia un “Arsomiglio”, a Napoli un  “Talequale”. In Veneto il fotografo era il “Someger”. 

 

Ma Robafacc racconta meglio di altri l’essenza della ritrattistica: non tanto una rappresen-tazione realistica (somiglianza), ma piuttosto il portar via, il far proprio un soggetto.

 

I “Robafacc”, girando per paesi o dentro il loro magico studio, realizzavano spesso l’unico ritratto che ogni persona si concedeva nella vita. Quelle fotografie sono però arrivate fino a noi; tutti abbiamo nel cassetto immagini di nonni e bisnonni, testimoni di un passato che vedremmo più nebbioso se quegli artigiani non avessero rappresentato il loro tempo attraverso i volti. La fotografia è lo spartiacque tra un’epoca solo dipinta (e dipinta per pochi) e una che ci appare più comprensibile non solo perché più recente, ma anche per la documentazione popolare e diffusa delle facce, degli atteggiamenti, del modo di vestire e di porsi.

 

All’inizio del ‘900 almeno un ritratto lo si doveva fare nella vita, da lasciare a figli e nipoti dopo averlo esposto con orgoglio sui muri di casa. Poi le attrezzature più facili e abbordabili hanno reso la fotografia alla portata di molti; ma ancora negli anni ’50-’60 l’abitudine di andare dal fotografo per un ritratto, ogni tanto, ci ha consegnato fotografie di ottima qualità. 

 

Poi è venuta la fotografia per tutti, l’industria ha messo in secondo piano qualità e durata delle stampe; soprattutto si è smesso di mettere un pensiero nello scatto, preferendo la facilità di un risultato mediocre, ma più veloce e redditizio. Milioni di fotografie insignificanti, sbiadite, su un supporto viscido e plastico che solo la nostalgia ci fa rivalutare oggi come “vintage”.

 

Tutti ora abbiamo in tasca un’ottima fotocamera nello smartphone; non si sono mai realizzate tante foto come oggi. Ma nonostante questa indigestione di immagini, nella memoria di ogni famiglia rischiamo di lasciare buchi enormi: hard disk in fumo, cancellazioni accidentali, soprattutto la mancanza di un approccio competente, rischiano di lasciare alle future generazioni una memoria melmosa e insapore di noi e del nostro mondo. Ammesso che queste immagini arrivino al futuro; leggeremo ancora, tra cinquant'anni, i nostri files di oggi?

 

Forse ha ancora senso, forse non ha mai avuto così senso, una volta nella vita (anche due, tre, quattro) andare da un fotografo per un ritratto bello, fatto per bene, stampato sulla carta buona, che ci racconta oggi e continuerà a dire di noi a figli, nipoti e alle società del futuro.

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